17 Maggio 2021

Baci.

Questo breve articolo è frutto delle riflessioni che hanno fatto seguito all’intervista di  Marco Ghezzi, presidente di Arcigay Palermo. Attraverso i suoi racconti non ho potuto fare a meno di tornare con la memoria a quando ero un ragazzetto di un piccolo paese dell’entroterra siciliano. Mi ricordo quanto fossero isolati, insultati  e umiliati  gli omosessuali del paese (peraltro nessuno di loro ha mai fatto coming out a tutt’oggi). Crescere in una cultura con una forte impronta omofoba influisce sul modo che un giovane ha  di vedere  la realtà e di costruire le categorie mentali di “normale” e “anormale. Dopo essermi trasferito a Palermo per motivi di studio, in seguito alle stragi di Capaci e di Via D’Amelio, sentii il bisogno di impegnarmi nella battaglia culturale alla mafia. In questo percorso nell’associazionismo locale ebbi la fortuna d’incontrare  diversi compagni di viaggio omosessuali.  Ricordo, e un po’ rido di me, l’imbarazzo quando, nelle attività con i bambini o anche nei momenti formazione si facevano giochi di contatto fisico.  La cosa interessante, guardandola con gli occhi di oggi, è che non c’è stato mai bisogno di un confronto rispetto alla necessità di andare oltre ai miei pregiudizi, tutto è venuto da sé, in maniera del tutto naturale, senza che ci fosse sforzo da parte mia per elaborare il mio modo di sentire.

La parte dell’intervista che mi ha fatto tornare indietro nel tempo e riflettere sui processi di cambiamento che sono avvenuti in me, è quella in cui Marco mi racconta che da ragazzo si era appartato nel giardino pubblico di un piccolo paese dal catanese con un fidanzatino dell’epoca scambiandosi delle effusioni. Di fronte al loro si trovavano gli operai dell’impresa edile che, urlandogli contro, li hanno minacciati di pestarli a sangue. Marco ricorda che la prima cosa che gli è venuta in mente è stata quella di affrontarli, ma poi rendendosi conto che lui avrebbe lasciato il paesino per tornare alla propria città ha pensato  che chi ne avrebbe maggiormente subito le conseguenze sarebbe stato il suo fidanzatino. È questo è solo uno dei tanti episodi che ancora oggi succedono quotidianamente.  Un bacio tra due persone dello stesso sesso ancora oggi riesce a scatenare rabbia e disgusto,  in alcuni casi anche violenza fisica. E pensare che è stato proprio un bacio tra due ragazzi alla fermata dell’autobus che in qualche modo ha fatto si, nella naturalezza con il quale è stato scambiato, che Marco abbia  capito quanto fosse necessario che gesti  d’amore tra due persone,  non venissero più repressi e che le persone hanno diritto di amare chiunque e meritano  il massimo rispetto. Quel bacio alla fermata dell’autobus ha fatto sì che Marco diventasse un attivista per i diritti della comunità LGBT.

In conclusione sento di dover ringraziare Marco perché attraverso il suo racconto mi ha permesso di riflettere sul mio processo di cambiamento personale, sperando che sia utile anche ai lettori.  Io sono principalmente un educatore, e sento la necessità, visto che il mio lavoro  è centrato sui percorsi di cambiamento culturale, di riflettere sui miei cambiamenti, lo strumento principale di un educatore, infatti, è se stesso, e per utilizzare al meglio questo strumento occorre conoscersi il più possibile e indagare quali sono I processi che hanno portato innanzitutto  I miei cambiamenti di prospettiva,  in modo da utilizzarli nei processi educativi.

A cura di Giuseppe Candolfo

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