1 Febbraio 2021

Pride, la rivolta tra “orgoglio e pregiudizio” contro un sistema omofobo

The first Pride was a riot.

Nel 1991 avevo nove anni e volevo a tutti i costi andare al cinema a vedere Terminator 2. Insieme con mia sorella aspettammo tutta la settimana, ma poi all’ultimo il cinema che lo dava, nella piccola città dove vivevo, era pieno. Ho sempre sospettato che in realtà i nostri genitori non abbiano voluto farci vedere il film, forse non adatto a bambini così piccoli, fatto sta che l’alternativa fu un pomeriggio con un nostro zio, che veniva dalla grande città, e il suo amico.

Anche se avevo già visto entrambi, quel pomeriggio, iniziato malissimo e poi proseguito con risate, cioccolate liofilizzate su tavoli di formica illuminati da neon fluorescenti (come da preciso protocollo anni ottanta) è quello a cui associo il vero incontro con mio zio. La sera, tornati a casa, chiedemmo di poter riorganizzare presto un incontro insieme a loro e io domandai: «Ma lo zio e il suo amico non hanno la fidanzata?». Non ci fu una vera risposta a quella domanda.

Con gli occhi di un bambino

Abitavo in una casa dove si respiravano idee progressiste, ma parlare di omosessualità non era considerato adatto, non con bambini così piccoli. A pensarci adesso, sarebbe stato meglio farlo. Certo, sarebbero servite parole semplici. Termini come non-binary, queer, LGBTQI+ erano completamente estranei in quell’angolo dell’Italia di provincia, ma non si può certo dire che a scuola non si sentisse parlare di f**ci, anche se nessuno sapeva bene cosa questo volesse dire. Fui molto sgridato, a 12 anni, quando diedi al compagno di mia madre del cul***one, ma più che la sgridata ricordo lo stupore mio, e suo, quando si scoprì che, per me, quel termine significava “persona molto fortunata”.

Oppure quando mia madre scoprì che ero solito fare ipotesi sull’orientamento sessuale dei miei amici, e mi sgridò per un’ora in macchina con due mie compagne di classe presenti. Il giorno dopo, a scuola, quella delle due che aveva tirato fuori il discorso si scusò con me: «Avessi saputo che tua madre era così irascibile (usò un altro termine), mi sarei stata zitta». Per lei, come per me, non c’era nulla di male nel fare outing, vero o presunto che fosse.

Capire il Pride: l’amore nella sua reale natura

Se avessi potuto capire l’amore, nella sua reale natura, e non in quella socialmente normata, avrei potuto esprimere la mia vicinanza a mio zio quando il suo amico morì di AIDS. Non lo rividi mai più dopo quella domenica pomeriggio, e il motivo mi fu chiaro molti anni dopo.

In casa mia c’era la videocassetta di Philadelphia, e come molti altri film lo guardammo tutti insieme, noi fratelli, commuovendoci per una vicenda che odorava di celluloide e metropoli mai viste, ma non fummo messi nelle condizioni di capire ciò che accadeva a pochi metri da noi. Quando sento dire «Se c’è la marcia dell’orgoglio gay, perché gli eterosessuali non possono fare lo stesso», o mi sintonizzo su qualche stazione radio in cui si pontifica sulla teoria del gender, penso alla responsabilità di adulti consapevoli e politicamente schierati che, però, non hanno la forza di parlare della discriminazione per orientamento sessuale come se fosse un problema di diritti come un altro.

Perché io, a 4 anni, sapevo cosa è stata la Shoah, a 6 partecipavo alle manifestazioni per i diritti dei lavoratori e a 7 alle marce per il rispetto della natura. Sono tutti temi complessi, ma in un qualche modo, è stato possibile trovare le parole per introdurli ad un bambino.

Il Pride, celebrazione di una rivalsa

Per capire che il Pride nasce dalla rivolta verso un sistema omofobo e che il bisogno di rivendicare con orgoglio ciò che si è deriva da generazioni di persone annichilite, maltrattate, negate e uccise, ho dovuto aspettare di diventare adulto, e avere la forza di volerlo scoprire.

La via d’uscita verso una società libera dal discorso d’odio è lastricata dalle azioni quotidiane di chi sa, e decide di non tacere.

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