18 Dicembre 2020

Donna e musulmana: tra stereotipi e pregiudizi, la storia di Souad

Da donna a donna

Souad è donna e musulmana, in Italia. Ha grandi occhi color nocciola e un velo che le incornicia il viso. Da circa tredici anni lavora come mediatrice e formatrice interculturale. Nella sua esperienza professionale ha attraversato un numero impressionante di ambiti: Ufficio Stranieri della Questura, ospedale, carcere, consultorio, Comune. Ha tradotto donne vittime di violenza che denunciano mariti abusivi e sexual offenders in carcere. «Ho lavorato con tutta l’utenza possibile, dalla vittima al carnefice.» Si sente, infatti, nelle sue parole, quella profondità di sguardo che possiede solo chi è disposto ad attraversare tanti, diversi mondi. La sua è un’identità multipla dove cultura europea e religione musulmana si compenetrano, entrambe vissute con convinzione, consapevolezza e senso d’appartenenza.

E poi, è una donna. Souad ci ricorda come il peso dell’islamofobia – la discriminazione di un musulmano in quanto tale – gravi in particolar modo sulle spalle delle ragazze. Un uomo musulmano veste come tutti gli altri; la donna che sceglie d’indossare il velo, invece, è immediatamente riconoscibile, è un bersaglio più facile da individuare. L’odio da cui viene investita non la colpisce solo per la fede che professa ma anche per il suo genere d’appartenenza: “Vedi una ragazza che porta l’hijab e pensi che non abbia voce in capitolo sulla sua vita, che lo fa perché è stata obbligata da suo padre, da suo marito o da suo figlio, che sia sottomessa all’uomo di famiglia.”

Così non si supporta una donna, la si attacca: non considerando l’ipotesi che la sua scelta sia guidata esclusivamente dalla forza dei suoi valori di riferimento, si svaluta la sua capacità di produrre scelte di vita in modo autonomo, consapevole e libero.

Donna, madre, musulmana

La cosa che più dovrebbe stupire è l’alto numero di volte in cui sono proprie le donne a sminuirne altre. 

Souad ricorda gli attacchi terroristici del 13 Novembre 2015 a Parigi; all’indomani del tragico evento scrisse una lettera aperta in cui esprimeva il suo punto di vista di donna europea e musulmana da poco diventata madre. Si chiedeva se il dolore e la rabbia per il massacro avrebbero avuto, tra i suoi tanti, devastanti effetti anche quello di radicare nella mentalità comune l’odiosa equivalenza tra musulmano e terrorista. Si domandava quale impatto avrebbe avuto tutto questo sulla sua vita di tutti i giorni e sul futuro di sua figlia.

Il commento che più le ha fatto male è stato proprio quello di un’altra donna: «hai partorito da poco; sono gli ormoni che parlano, non tu.» Souad si è sentita discriminata tre volte: come donna, come madre e come musulmana. È un gioco purtroppo ricorrente nella dimensione online dove troppo spesso non si entra nel merito del discorso, ma nel privato della persona con l’intenzione di svalutarla; non si affrontano i contenuti ma si attacca chi li scrive per demolire la legittimità della sua presa di posizione. 

Gli haters, l’odio e la distanza dalla felicità

Ma nonostante tutto, Souad non si lascia trascinare nella trappola dell’odio. «Tante volte non me la sento nemmeno di condannare queste persone, mi sembrano quasi vittime del loro stesso odio. Perdono tanto tempo ed energia ad odiare l’altro non conoscendolo neanche… Penso a quanta negatività stanno portando nella loro stessa vita senza neanche rendersene conto. L’odio è un sentimento che logora, impedisce di godere della felicità che la vita offre.»

Agli tutti gli haters ha da dire questo: «Riflettete. Riflettete sulla vostra vita e sul vero motivo che vi spinge a odiare. Cercate di conoscere l’altro prima di giudicarlo. Altrimenti siete voi che perdete un’opportunità per incontrare persone diverse ed essere felici.»

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