17 Febbraio 2025

Un linguaggio che semina odio e raccoglie consensi

di Francesca Picchiotti

 

All’alba del suo nuovo mandato amministrativo, Trump è determinato ad accogliere i favori di tutte le fasce di cittadini americani. Attenzione: cittadini legalmente riconosciuti, gli altri non solo non verranno presi in considerazione, ma verranno rispediti direttamente al mittente, anche se non ci è dato sapere il canale, né tantomeno, figuriamoci, quale destino ci sia in serbo per queste masse disumanizzate di deportati.

Ad ogni modo, i bisogni di coloro che ad oggi non sono ancora stati sottoposti alla legge marziale sono stati ampiamente accolti o, meglio, ciò di cui gli è stato detto di aver bisogno. Primo tra tutti il bisogno di allontanare la fonte di discordia maggiore dello stato nordamericano, gli immigrati, ma solo “quelli irregolari” – hanno dichiarato giustificandosi-, per ora. “Si stanno mangiando i loro cani e gatti” ha detto. Esordisce poi con: “Rubano i lavori in nero degli onesti cittadini americani”. Così scopriamo con piacere che tutto ciò che rimane al cittadino in un’epoca di recessione economica e prezzi alle stelle è un buon impiego irregolare, probabilmente sottopagato, e per cui deve battersi con l’immigrato irregolare, senza possibilità di accesso a quel poco di welfare che dobbiamo ormai raschiare dal fondo del barattolo. Il tutto per seguire le leggi del neoliberalismo rampante, del mercato che “si regola da sé”, dicono, e noi abbiamo bisogno di fidarci di quello che ci hanno detto.

Oltre a violare diversi diritti umani e spendere più soldi di quanti non ne servirebbero per migliorare il sistema assicurativo (il vero cruccio per molti), questa deportazione non tocca molto il cittadino americano medio. L’istinto di Trump o chi per lui (alti funzionari, bracci destri, visir o eunuchi che siano) hanno suggerito una campagna elettorale incentrata sulla costruzione di un discorso profondamente d’odio, neppure velato, contro gli immigrati. Una retorica mainstream per le destre contemporanee che Trump sa bene riesca ad attecchire. E così, gli eterni invisibili della società capitalista altrettanto sommessamente spariscono all’occhio di chi non voleva vedere.

Ciò che rappresenta, però, è un discorso identitario eccessivamente abusato dalla retorica politica contemporanea che separa il sé da tutto ciò che è altro in modo dualistico, ciò che sono io non sei tu, ed inconciliabile, o io o tu. Parallelamente scompare il concetto di coscienza di classe, fenomeno che, ancora una volta, erode i momenti di unione e similarità a vantaggio delle differenze. A tal proposito la coscienza di classe ci ricorderebbe da che pulpito si esprime Trump e in che direzione andrà per il resto del suo mandato. Oggi il capro espiatorio è l’ultimo degli ultimi e da qui non si potrà far altro che risalire.

A dir la verità non dobbiamo guardare troppo lontano per scrutare le mire ideologiche di questa amministrazione. Prima ancora delle deportazioni forzate, i MAGA erano già ampiamente concordi sulla questione pro-life e contro i pro-choice, altro esempio di discorso volto alla costrizione delle libertà, questa volta delle donne. Analogamente, il focus non è né sui diritti dei bambini né sull’abominio dell’aborto come crimine, ma la costrizione dei diritti inviolabili, finora, del singolo.

Neppure durante la campagna elettorale, il farfuglio delirante e discriminatorio del settantottenne, chiaramente vittima della sua stessa senilità, ha portato l’elettore a dubitare della sua eleggibilità, come è stato per la fine del mandato Biden. Al contrario, da un’analisi fatta sui discorsi di Trump, sembrerebbe proprio che siano state le sue caratteristiche lessicali ad incontrare il favore dei suoi elettori, quali frasi e parole semplici ma efficaci e soprattutto punchlines, al punto che, quando si accorge di tirarla per le lunghe, riparte e conclude con parole ancora più aggressive. Il tutto condito da una forma di linguaggio confidenziale che accorcia la distanza con l’interlocutore ma non alleggerisce certo il significato d’odio del messaggio.

Lentamente ma in modo costante, i diritti vengono elisi e ciò che era discriminatorio diventa normalità. Dal cieco consenso di banche, istituzioni finanziarie e multinazionali a cui questa campagna è davvero rivolta, all’avvicinamento dei gruppi di Musk e Zuckerberg coronato dall’interruzione dei programmi di diversità e inclusione, alla sospensione delle erogazioni finanziare da parte di USAID che ha messo in ginocchio migliaia tra enti, ONG e, soprattutto, beneficiari, è evidente come la sottomissione sia in atto. L’ultima frontiera del consenso MAGA è rappresentata dal mondo della moda. La sola rimasta che durante la scorsa amministrazione si era apertamente rifiutata di appoggiare la famiglia del Presidente, dimostrando coerenza con la sua linea progressista. Questa volta, invece, più per il timore di trovarsi contro di lui piuttosto che per affinità di pensiero, anche le grandi case di moda ridimensionano la loro esposizione ideologica su temi quali l’intersezionalità, la rappresentazione e l’inclusione.

A questo punto molti si chiedono se anche il loro non fosse altro che un tentativo di marketing più che una condivisione ideologica convinta. Ma soprattutto, come riusciranno a passare dal rifiutarsi di vestire la first lady durante la campagna, a rimuovere rappresentanze importanti come le modelle plus-size o gli elementi di sostenibilità ambientale senza subire la gogna mediatica? O viceversa, che succederà invece a coloro che hanno speso gli ultimi anni a sostenere queste stesse politiche inclusive e fare della sostenibilità il loro slogan? Qualche risposta a queste nostre domande la vediamo già.

 

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