Un confronto con Nazmie alla ricerca di soluzioni di contrasto all’odio online
Nazmie Kasmi in Ceka si è trasferita ad Ancona dall’Albania nel 1998 con suo figlio di 14 anni e di lì a pochi mesi anche suo marito li ha raggiunti.
Appena arrivata nel nostro paese si è occupata di pulizie e questo è stato un periodo che ricorda con affetto perché ha instaurato con le famiglie per cui ha lavorato rapporti amichevoli che le hanno permesso di conoscere la nostra cultura e il nostro modo di vivere dall’interno.
Da subito si è impegnata anche nell’associazionismo cittadino e nel perfezionare la sua formazione dopo la laurea magistrale in economia e finanza conseguita in Albania. Agli inizi degli anni 2000 la regione Marche promuoveva tanti corsi di formazione rivolti a cittadini immigrati: ad esempio corsi di mediazione linguistico culturale che Nazmie ha frequentato e grazie ai quali ha potuto conoscere tante persone, migliorare l’apprendimento dell’italiano e, soprattutto, acquisire il titolo di mediatrice interculturale che le ha permesso di lavorare per 14 anni per l’Associazione Senza Confini coordinando il servizio di mediazione interculturale nella sanità, scuola, minori, rifugiati. Negli anni a Senza Confini e ancora oggi si è occupata anche del servizio di mediazione in carcere, un’attività che ritiene molto significativa perché le ha permesso di avvicinarsi e di toccare con mano la fragilità dell’umano che sbaglia e che paga giustamente il suo debito, ma a cui devono essere riconosciuti i propri diritti e opportunità di crescita umana e professionale. Da qui l’importanza di avere informazioni in lingua madre sulle regole e i diritti in carcere per i detenuti stranieri.
La sete di conoscenza, la curiosità e il piacere d’intessere relazioni è alla base anche del suo utilizzo del web: “uso internet, mi dice, per qualsiasi ricerca, utilizzo Whatsapp e Facebook cercando di sfruttare l’opportunità gigantesca della rete per migliorarmi, informarmi e conoscere persone da cui posso imparare; l’altro lato della medaglia, purtroppo, è trovare post e commenti molto negativi e pesanti in primo luogo per chi li riceve, ma che chiamano in causa anche chi legge quei commenti e ci rimane male tanto che ti viene da pensare se chi scrive abbia cognizione di ciò che fa”.
Dal suo punto di vista molto spesso le persone che subiscono hate speech hanno resistenze a capire che questi sono veri e propri soprusi, non sanno come affrontare le ondate di odio e che è possibile denunciare questi atti, si chiudono invece in sé stesse e soffrono in silenzio.
A questo proposito mi racconta che recentemente è stata testimone indiretta di un attacco violento su Facebook che ha coinvolto due persone a lei molto vicine e amiche tra loro e che ha generato una valanga di commenti di sfregio contro la vittima. L’atteggiamento di Nazmie è stato quello di consigliare alla vittima di rispondere e di denunciare pubblicamente l’accaduto; questa invece si è chiusa nell’atteggiamento di lasciar correre perché “tanto le persone non cambiano e non si può fare nulla al riguardo”.
Secondo Nazmie è importante che i social network supervisionino i contenuti che si pubblicano in maniera più efficace bloccando gli account che inneggiano all’odio o trovando altre soluzioni per porre un argine alla violenza online perché questo genere di aggressioni quando ci sono gruppi che si coalizzano contro qualcuno, possono causare grandissime sofferenze come è capitato ad alcuni adolescenti che poi si sono tolti la vita.
Occorre anche agire a livello di associazioni facendo rete per diffondere la conoscenza sulle possibilità di azione contro l’odio online e promuovere i diritti nel mondo digitale: “penso ad esempio agli stranieri appena arrivati in Italia che non sanno minimamente che è possibile denunciare post discriminatori”
Organizzare una grande campagna informativa, mi spiega, coinvolgendo le associazioni degli immigrati sarebbe una gran cosa e potrebbe essere anche un deterrente per gli haters che saprebbero indirettamente che spargere odio sulla rete può essere punibile e che converrebbe pensarci bene prima di scrivere.
E’ importante poi lavorare a scuola attraverso percorsi di formazione con i ragazzini e i docenti, partire sì dalla scuola, ma coinvolgere poi tutta la società “perché tutti ormai usiamo i social e dovremmo farlo con consapevolezza”.
A cura di Elisa Cionchetti