22 Gennaio 2025

L’insediamento di Trump, piattaforme social e dintorni

di Emanuele Russo

 

Ha ragione Roberto Saviano quando identifica, durante la trasmissione #Metropolis, il comportamento di Elon Musk, che lancia il proprio cuore ai sostenitori, con quello di un troll. Cioè, un soggetto reale o virtuale che ha lo scopo, nel mondo dei social media, di alzare per l’algoritmo il rating di un contenuto attraverso messaggi divisivi. Musk, proprietario di X (ex Twitter) e tra i principali artefici del ritorno di Donald Trump nello Studio Ovale, conosce a menadito le regole della comunicazione attraverso i social. Sa cosa fare per creare scompiglio, sa come costruire una scappatoia da utilizzare dopo aver raggiunto l’hype (la mano che “prende il cuore” per gettarlo ai fan, invece che a taglio, come il vero saluto nazista), ha ben chiaro il messaggio che vuole dare. Un messaggio di potere potenzialmente senza limiti, protetto dalla Casa Bianca, e rivolto forse, più che ai sostenitori del nuovo Presidente degli Stati Uniti, ai CEO e proprietari seduti in prima fila nel giorno dell’insediamento presidenziale. Le persone a capo di Facebook, Instagram, Tik Tok, Google, Amazon, che negli ultimi giorni hanno finanziato con donazioni milionarie la giornata del 20 gennaio e hanno annunciato la chiusura di tutti i programmi di fact checking e diversity & inclusion delle proprie aziende.

Dal punto di vista del contrasto al discorso d’odio si tratta di un passo indietro epocale, che cancella tutti gli sforzi messi in campo dallo scandalo di Cambridge Analytica nel 2016 prima, e soprattutto dall’assalto al Campidoglio di 4 anni fa, i cui artefici sono stati graziati da Trump in uno degli oltre venti ordini esecutivi firmati nel suo primo giorno da Presidente.
Soprattutto, identifica un possibile nuovo terreno di scontro con l’Unione Europea, come sottolineato da Cathy La Torre, avvocata e attivista per i diritti umani, in un suo intervento sul proprio profilo LinkedIn. Il Digital Service Act, regolamento europeo sui servizi digitali, è da sempre una spina nel fianco per le Big Tech e le piattaforme social, che rischiano multe salatissime per comportamenti che negli Stati Uniti non sono sanzionati, ma sono fondamentali per garantire che gli spazi virtuali europei siano più liberi da fake news e discorsi d’odio, oltre che tutelare la privacy dei dati sensibili degli utenti. Se il DSA fosse smantellato gli utenti europei perderebbero molte tutele, mentre le compagnie tecnologiche guadagnerebbero miliardi.

Si tratta di supposizioni, non è certo che il DSA europeo sarà sull’agenda presidenziale americana dei prossimi mesi, ma è di tutta evidenza che i rapporti transatlantici stiano entrando in una fase nuova, e che il nuovo inquilino della Casa Bianca tollera poco, almeno a parole, i vincoli posti agli interessi americani, sia pubblici sia privati, anche quando a porli è uno stato sovrano.

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