20 Dicembre 2024

La retorica estremista vegana e anti-vegana, due esempi di hate speech

di Francesca Picchiotti

Il veganismo non è più soltanto un regime dietetico che esclude prodotti di origine animale, ma uno stile di vita e una filosofia che si oppongono ad ogni forma di sfruttamento o maltrattamento animale. In tal senso si propone di promuovere alternative sostenibili per i consumatori, l’ambiente e gli animali stessi. Grazie all’attivismo vegano, man mano che la divulgazione aumenta insieme alla sensibilità dei consumatori, così anche l’adesione e la partecipazione alle iniziative crescono. Non solo, anche coloro che non riescono o non vogliono eliminare del tutto i prodotti di origine animale dalla loro dieta cercano di attuare scelte più consapevoli volte a contrastare le pratiche di maltrattamento animale: gli allevamenti intensivi, i test sugli animali, la caccia o la pesca di specie in via di estinzione, la produzione di indumenti in cuoio o pelliccia, zoo e spettacoli con animali in cattività, e via dicendo.

Ciò nonostante, le definizioni che compaiono online lo dipingono come fede radicale o forma di estremismo al vegetarianismo, rendendolo un concetto che esclude ogni forma di mediazione e dialogo. Altri ancora lo vedono solo come adesione di massa all’ennesima moda di cultura popolare.

Qualunque siano le motivazioni che spingano a aderire a questa filosofia, la tensione tra il veganismo e la retorica anti-vegana attualmente sta crescendo, soprattutto in proporzione alla diffusione e pervasività dei media.

In primo luogo, seppur culturalmente e storicamente antico, il veganismo non è mai stato l’atteggiamento etico e dietetico dominante, bensì minoritario, non normativo e come tale spesso perseguitato.

È il caso dell’hate speech anti-vegano. La comunità anti-vegana rappresenta tutti coloro che si oppongono, anche con violenza, ai vegani che, per contro, rispondono definendoli disinformati, maleducati o ottusi. Il risultato è uno scontro germogliato in rete e dai toni estremamente discriminatori da entrambe le parti.

Si leggono commenti che accostano gli uomini vegani a esseri privi di “virilità”, sottolineando che lo standard di “mascolinità” può essere solo associato alla caccia, al food-porn, alla dieta proteica, agli sport violenti e al consumismo becero. Pertanto, spesso gli anti-vegani vengono ricollegati alle forme di pensiero di estrema destra, come il supporto alla cultura patriarcale o alle visioni politiche tradizionaliste e conservatrici. L’impressione è che il sentimento anti-vegano derivi dalla percezione dei vegani come presuntuosi, ipocriti, moralisti, fanatici e inflessibili che giustifica l’antipatia e, di conseguenza, la discriminazione.

Anche se sussistono argomentazioni anti-vegane ragionevoli che sottolineano le controindicazioni nell’adottare una dieta vegana- soprattutto circa casi specifici di salute o l’insostenibilità delle coltivazioni intensive di vegetali che rispondano all’apporto di nutrienti necessari per i vegani- niente giustifica il discorso d’odio.

Così anche nella retorica vegana si notano casi di hate speech contro tutti coloro che non aderiscono al loro sistema di valori, anche se cercano di adottare comportamenti più sostenibili. Online si trovano commenti che augurano una fine dolorosa e sanguinosa a tutti coloro che, consumando prodotti animali, infliggono loro lo stesso trattamento, dimostrando così atteggiamenti misantropici.

Comunque, ove supportate da dati, le argomentazioni dei vegani si rivelano spesso più fattuali e concrete. Con l’incremento della ricerca ambientale, si sottolineano i benefici e la sostenibilità, ma soprattutto quanto invece il regime onnivoro e non curante della violenza animale possano essere dannosi per la nostra salute e per l’ambiente, oltre che per gli animali stessi.

Per di più, le argomentazioni della fazione onnivora ruotano più spesso intorno al piacere del mangiare carne, la bellezza dei tessuti di origine animale, preferire la facilità nel reperire proteine animali all’impegno nel ricercare proteine vegetali, il divertimento di zoo e spettacoli con animali in cattività… Istanze che dimostrano un qualunquismo generale piuttosto che evidenze scientifiche, il rispetto per le generazioni future e la giustizia animale o, semplicemente, il benessere del nostro Pianeta.

Quanto detto finora non è certo esaustivo, ma vuol lasciare appositamente spazio al sano dibattito politico che abbia l’obiettivo di trovare un ragionevole punto d’incontro tra il vegano estremista inflessibile e l’onnivoro altrettanto estremista e insostenibile. Il punto non è se è giusto o meno fregarsene del “benessere del fagiano”, ma la tolleranza verso diversi stili di vita che, però, ad oggi deve necessariamente guardare alla sostenibilità e rifiutare il negazionismo. Proponiamoci di intavolare un dialogo inclusivo scevro da stereotipi e pregiudizi, utili solo a perorare forme d’odio.

 

 

 

 

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