di Luca Cavaliere
“Be quiet, small man” è questa la risposta di Elon Musk alle critiche del ministro polacco degli affari esteri Radoslaw Sikorski. Un commento sgradevole degno di una litigata tra bambini, dove non esiste diplomazia e logica politica ma solo parole, le une contro le altre, al fine di sminuire l’avversario, renderlo ridicolo. Forse è questa la caratteristica del dibattito politico moderno: discorsi di pancia, contenuti semplici e d’impatto contro persone, o enti ben identificati, etichettati come nemici. Un fenomeno amplificato dai social media, che riducono la discussione politica a battute virali e slogan.
Il primo a comprendere e sfruttare appieno questa dinamica è stato Donald Trump. Già nei dibattiti repubblicani del lontano 2016 utilizzava soprannomi e attacchi, poco eleganti, diretti ai suoi avversari. Una strategia che ha poi applicato con Hillary Clinton, Joe Biden e nelle ultime elezioni con Kamala Harris.
Dopo il successo di Trump nel 2016 la strategia del trolling, della memificazione e dell’incoerenza comunicativa è stata adottata da numerosi politici conservatori lasciando l’opposizione indifesa e senza punti di riferimento. Questa tattica si rivela efficace poiché scavalca il ragionamento, aggira il dibattito razionale e si rivolge direttamente alle emozioni degli elettori, basandosi più sui sentimenti che sui fatti. Deridere l’avversario politico e amplificare le sue debolezze contribuisce a costruire una narrazione che distorce la realtà, delegittimando la controparte.
Un esempio è come l’ex presidente Joe Biden è stato attaccato per la sua età, spesso descritto come incompetente e inadatto al ruolo di presidente.
Per anni, l’opposizione americana non ha saputo contrastare la narrativa di Trump e i suoi fedeli. Qualsiasi fact-checking o ragionamento articolato si è rivelato inefficace contro la forza comunicativa di meme e insulti.
Solo di recente, con il secondo mandato di Trump, le opposizioni hanno capito che bisogna rispondere con la loro stessa metodologia: post virali e tweets.
La prima ad attaccare è stata Alexandra Ocasio-Cortez, deputata democratica, nota per il suo carisma e determinazione, che a gennaio 2025, senza mezzi termini definisce Trump uno stupratore attraverso un video su X (ex Twitter). Il video viene poi condiviso da vari profili indignati dagli attacchi rivolti al presidente. La deputata ha replicato con un commento provocatorio “Oh, ti ho irritato? Piangi ancora di più”, consolidando l’idea di un dibattito politico sempre più incentrato sulla spettacolarizzazione e meno sul confronto razionale.
Un altro importante attacco fatto dall’opposizione ai leader statunitensi è stato compiuto in occasione della visita di Volodymyr Zelensky alla Casa Bianca. In quell’occasione, come ormai sappiamo, JD Vance, il vicepresidente, ha attaccato duramente il leader ucraino, chiedendo se avesse mai “detto grazie” per gli aiuti ricevuti dagli Stati Uniti. Sebbene l’intento fosse apparire forte e patriottico, la narrazione è stata rapidamente ribaltata dagli utenti di X. In poco tempo la piattaforma si è riempita di meme con Vance rappresentato come una figura patetica e ridicolizzata. Ovviamente, l’obiettivo non era certamente cercare un dialogo politico ma svuotare di significato ciò che stava dicendo il vicepresidente attaccandolo sul proprio aspetto fisico.
Questi episodi evidenziano la trasformazione del dibattito politico, specialmente quello americano, in uno spettacolo mediatico, senza raziocinio, ma alla ricerca del colpo di scena, con insulti e attacchi personali più simili ad un reality show che a un confronto tra leader. Le discussioni razionali vengono soffocate dal rumore dei tweet, trasformando lo spazio politico in una sfida tra chi crea i contenuti più virali. L’influenza dei social media è pervasiva e favorisce la polarizzazione, alimentando divisioni e rafforzando il discorso d’odio e la diffusione di fake news. Le piattaforme diventano terreno fertile per dibattiti basati su stereotipi e generalizzazioni, che rapidamente si trasformano in scontri infuocati. Il risultato è una società sempre più frammentata, dove gruppi minoritari vengono dipinti come nemici o problemi da affrontare.
Come ci insegna Antonio Gramsci, la politica non si limita alle istituzioni, ma permea la cultura, il linguaggio e le interazioni quotidiane. Oggi, le piattaforme digitali sono diventate i nuovi spazi della politica, modellando gli elettori e le loro idee attraverso immagini, video e commenti. In questo contesto, orientarsi tra le informazioni utili e la propaganda è sempre più complesso. La “politica dei meme” non è solo un fenomeno comunicativo, ma una trasformazione profonda del modo in cui la società percepisce e vive il dibattito pubblico.