27 Agosto 2024

Dall’immediatezza dei contenuti alle fake news

di Camila Pelissero

 

Ormai non è più una novità che la società odierna si sia abituata a un uso quotidiano, spesso passivo, delle nuove tecnologie, così come a trascorrere sempre più tempo sui social media, colonna portante del mondo in cui viviamo oggi. Tanti contenuti brevi, immediati, che richiedono quella minima quantità di tempo e di concentrazione che ci porta a guardarne uno, poi un altro e un altro ancora, e che ci vedono alla costante ricerca di piccole dosi di dopamina finché tutte le nostre energie non vengono consumate insieme a ore del nostro tempo. Non è certo un caso se il format offerto da TikTok, piattaforma con il tempo medio di utilizzo per utente più alto di qualsiasi altra a livello globale, è stato riproposto successivamente da Instagram sotto forma di reels e da Youtube con gli shorts, sia per stare al passo con la competizione che per capitalizzare sull’engagement che questi contenuti sono in grado di generare, tenendoci incollati allo schermo.

È dunque importante notare come la soglia dell’attenzione, soprattutto quella delle generazioni più giovani, sia in costante calo da diversi anni. Ciò non è da attribuire soltanto a contenuti di questa natura, ma in forma più ampia ad una realtà sociale sempre più frenetica, che incoraggia il multitasking e ad essere costantemente collegati, costringendo la nostra attenzione a una frammentazione continua. Una società del genere, naturalmente, non favorisce la ricerca di contenuti più “lenti”, se così vogliamo chiamarli, più lunghi, più elaborati e più informati rispetto a video di un minuto o a post con poche righe di testo che riescono a catturare il nostro interesse solo se contengono elementi emotivamente significativi.

La nostra crescente incapacità di consumare contenuti elaborati ci sta anche portando ad informarci sempre di più sui social, dato che ci permettono di restare sempre aggiornati sull’attualità senza il bisogno di spendere più di un paio di minuti, se non meno, su ogni notizia. Un fatto innocuo di per sé, ma l’abitudine di spostarci rapidamente da un contenuto all’altro, senza prestare particolare attenzione a nessuno di essi, accentua la tendenza a non approfondire le notizie che incontriamo, a non cercarne le fonti e a fidarci, ingenuamente, di tutto ciò che all’apparenza ci sembra affidabile.

Se inoltre pensiamo che queste informazioni lampo sono spesso rappresentate da clip, frasi e citazioni decontestualizzate che, più o meno intenzionalmente, incoraggiano la diffusione di pareri ed interpretazioni personali guidati dall’emotività dei singoli piuttosto che di fatti reali, non possiamo che renderci conto di quanto la situazione si presti a renderci vulnerabili alla disinformazione, nonché alle fake news che ormai troviamo con frequenza allarmante sui nostri feed.

È anche per queste ragioni che le fake news trovano terreno fertile sui social media: per farci credere, potenzialmente, a qualunque cosa, queste sfruttano la nostra crescente incapacità e disabitudine a ricercare fonti e la forte emotività delle narrazioni d’odio, che comprendono sia sentimenti di odio in sé, sia altri sentimenti che invece possono portare all’odio se accompagnati da determinate narrazioni, come ad esempio la paura o il senso di appartenenza, trovando in determinate categorie di individui un capro espiatorio per diverse problematiche socio-economiche. Questi elementi, sommati alla polarizzazione politica e sociale che non sembra avere alcuna intenzione di scemare nel prossimo futuro, risultando in uno strumento pericoloso per i target delle narrazioni d’odio di cui fanno spesso uso le fake news, così come per il benessere della nostra società

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