di Emanuele Russo
Spesso sentiamo dire, da persone anche molto diverse, che la tecnologia, e i social media come spazio di relazione, siano neutrali. Esiste il discorso d’odio, esistono le fake news, ma i social media, di per sé, non promuovono la discriminazione e lo scontro tra le persone. Dipende dall’uso che se ne fa.
Noi non pensiamo che sia così: i social media espandono le regole dell’economia commerciale nel campo delle relazioni. Essendo strutturati per massimizzare gli interessi dei loro creatori e delle aziende che pubblicano le inserzioni sulle piattaforme, i social media piegano, progressivamente, ogni tipo di interazione ad una logica commerciale. I contenuti, di qualsiasi tipo, vanno abbracciati o rigettati in toto, nel più breve tempo possibile. L’esperienza offerta all’utente, siccome è gratuita per quest’ultimo, è plasmata sugli interessi di chi permette a questi luoghi virtuali di esistere. Pertanto, più che lavorare per “bringing people closer together” (primo claim di Facebook), l’impegno dei social è volto a portare un numero sempre maggiore di persone ad interagire, per tempi sempre più lunghi, su di essi.
Ciò che rende le persone più attive e rispondenti sono i messaggi ad alto contenuto emozionale. Amore e odio, lo sappiamo, sono i sentimenti più polarizzanti. Per questa ragione, esiste un forte interesse a popolare la rete di contenuti che generino questi sentimenti negli utenti. Quindi, non stiamo dicendo che i social abbiano un interesse specifico nella diffusione di contenuti razzisti, omofobi o discriminatori, ma è indubbio che l’algoritmo che li governa tenda a considerare “buoni” i contenuti che generano molte interazioni. Dal momento che noi abbiamo un controllo relativo su ciò che vediamo, poiché è in massima parte l’algoritmo a decidere cosa “potrebbe” piacerci, ne consegue che, a prescindere dalla nostra volontà o competenza, non potremo ripararci totalmente dal discorso d’odio, dalle fake news e dalle conseguenze della loro diffusione. Tutto ci viene proposto come valido, anzi, più un contenuto ha generato reazioni più circola rapidamente, perché l’algoritmo lo ritiene rilevante. A prescindere dalla veridicità o dall’accettabilità dei contenuti.
Dobbiamo quindi rigettare l’idea che esista una neutralità della rete. È un messaggio sbagliato che getta sul singolo individuo una responsabilità personale eccessiva. La nostra responsabilità, come individui, sta nel diventare consapevoli di muoverci in un ambiente che accentuerà le nostre emozioni, fino a estremizzarle, e lascerà poco spazio all’approfondimento degli argomenti. Su questo, possiamo incidere. Su questo, dobbiamo lavorare insieme.