30 Dicembre 2024

Il gatekeeping contro le donne nelle community di videogiochi

di Camila Pelissero

Quando si pensa al mondo dei videogiochi si tende a dare per scontato che sia un ambiente maschile, soprattutto se lo si conosce soltanto alla lontana. Dopotutto, si tratta di un passatempo tipicamente adottato dai ragazzi, così come il target a cui si rivolgono la stragrande maggioranza delle pubblicità dei videogiochi più conosciuti e delle console, che fanno leva su elementi generalmente associati alla sfera maschile: l’azione, i combattimenti, aspetti tecnici legati al hardware, alle sue prestazioni e così via. A donne e ragazze vengono invece dedicati i giochi con “storie coinvolgenti” e quelli casual, che solitamente sono più semplici, rilassanti, meno prestazionali e privi di elementi competitivi. Come in tanti altri ambiti, si è creata una distinzione più o meno chiara tra i due gruppi, rendendo difficile l’avvicinamento di uomini e ragazzi alle playerbase più femminili, ma soprattutto l’ingresso e la permanenza di donne e ragazze in quelle principalmente maschili.

 

Per quanto riguarda le ultime, buona parte dei luoghi d’incontro, che siano questi online o in presenza, sono spazi notoriamente e spesso deliberatamente ostili nei confronti delle donne che tentano di accedervi, a causa del gatekeeping che viene rivolto contro di loro. Infatti, il gatekeeping è una forma di esclusione e/o di ostruzionismo esercitata da soggetti (auto)legittimati a decidere chi può entrare a far parte di questi spazi e chi, invece, dovrebbe restarne fuori. Quando viene riservato alle donne, questo comportamento diventa particolarmente intenso negli ambienti dedicati a giochi competitivi come gli eSports, all’interno dei quali esistono livelli di conflitto e aggressioni verbali elevati, ma che raggiungono picchi maggiori se una donna è coinvolta. Tra uomini, le dispute solitamente nascono dalla necessità di dimostrare la propria superiorità in termini di forza e abilità rispetto agli avversari e ai compagni di squadra tipico di un contesto machista; se riguardano una donna, invece, i conflitti sono di natura diversa, dato che le argomentazioni si basano sistematicamente su pregiudizi derivanti da narrazioni d’odio, manifestandosi attraverso insulti sessisti, accuse svilenti, sessualizzazione e minacce di stupro o di morte.

 

Con la normalizzazione di quest’odio, le giocatrici si ritrovano difronte a una scelta: ad esempio, una parte decide di restare in questi ambienti tollerando l’odio, talvolta creando anche contenuti che lo sfruttano per aiutarne la diffusione. Molte altre, invece, preferiscono evitare i contesti in presenza e non rivelare il proprio genere in quelli online, usando esclusivamente canali scritti per comunicare con altri giocatori e invisibilizzando la presenza femminile. Altre ancora decidono di abbandonare i videogiochi del tutto o di allontanarsi da interi generi di giochi che potrebbero rivelarsi tossici per spostarsi su altri generi a cui appartengono titoli con playerbase più accoglienti e sicure. Di conseguenza, ciò che dovrebbe rappresentare un momento di svago e di socializzazione si va trasformando in un’esperienza quotidiana spiacevole per quelle donne che devono spendere tempo ed energie per giustificare la loro presenza all’interno di spazi a cui hanno il diritto di appartenere senza che venga messo in discussione.

 

 

 

 

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